“Four more years”. Quattro anni ancora. Così è stata salutata la rielezione a Presidente degli Stati Uniti del democratico Barack Obama che, come i suoi recenti predecessori George W. Bush, Bill Clinton e Ronald Reagan, avrà l’occasione di un secondo mandato alla guida degli U.S.A. Non è stata una vittoria scontata: lo sfidante repubblicano Mitt Romney è stato un degno competitor e alla fine, come previsto dagli analisti, si è rivelato decisivo lo Stato dell’Ohio. Obama ha dunque la possibilità di proseguire il lavoro cominciato quattro anni fa, quando, al grido di “Yes We Can”, conquistò gli elettori americani, e non solo. Sono stati quattro anni di amministrazione travagliata e controversa, premiati ex ante con un Premio Nobel per la Pace “preventivo” assegnatogli dopo appena nove mesi di governo.
Con la vittoria di oggi Obama ha dimostrato di essere riuscito a conservare i favori dell’elettorato che nel 2008 lo aveva scelto per un cambiamento epocale nella storia americana. Obama è stato rieletto con i voti delle donne, dei giovani, degli operai, degli immigrati: le categorie più deboli dei tessuti sociali occidentali, le quali negli Stati Uniti hanno trovato un concreto e carismatico riferimento in Barack Obama; quello stesso riferimento che nel nostro Belpaese non si riesce più a rintracciare nei partiti che tradizionalmente hanno difeso le istanze dei più svantaggiati.
Disse una volta Enzo Biagi che “la differenza tra destra e sinistra consiste nel fatto che la sinistra ha l’obiettivo di portare avanti coloro i quali la vita ha fatto nascere dietro”. Lo slogan della campagna elettorale di Obama è stato proprio “Forward!”, “Avanti!”, e nel rituale discorso della vittoria il rieletto presidente U.S.A. ha dichiarato che bisogna credere ad un’America “aperta ai sogni della figlia di un immigrato che studia nelle nostre scuole e crede nella nostra bandiera. A un giovane delle zone più povere di Chicago che vede una vita al di là dell’angolo della sua strada. Al figlio di un operaio del North Carolina che vuole diventare un dottore o uno scienziato, un ingegnere o un imprenditore, un diplomatico o persino un Presidente”.
Sì, gli Stati Uniti sono il Paese in cui tutti devono avere una chance, il paese in cui anche un afro-americano può accedere alla Casa Bianca. “Quello che rende eccezionale l’America – ha sottolineato poi Obama – è il legame che tiene insieme le nazioni più diverse sulla faccia della terra. Il credere che il nostro destino è condiviso. Che questo paese funziona solo se accettiamo di avere obbligo ognuno nei confronti dell’altro”.
Da un lato, quindi, il valore assoluto dell’individuo, il diritto alla felicità (sancito dalla Costituzione), il diritto alla mobilità sociale, il diritto di ciascun cittadino a credere in un miglioramento della propria condizione socio-esistenziale senza per questo essere etichettato come “choosy”. Dall’altro lato la forza della Nazione, il legame patriottico che fa degli Stati Uniti un unico organismo, un’entità compatta, più grande della semplice somma delle sue parti. Accanto ai concetti di Nazione e Popolo, Obama ha infine espresso con determinazione il concetto di Famiglia: questa costituisce, anche da una prospettiva prettamente sociologica, il trait d’union tra l’individuo e la Patria, tra il cittadino e l’entità statuale. E’ il nucleo essenziale della società, alla base della crescita tanto del singolo quanto della Nazione intera. A dimostrazione dell’importanza anche simbolica della Famiglia, non è un caso che i presidenti americani si rechino agli incontri pubblici sempre accompagnati dalla propria moglie (talvolta pure dai figli): fin troppo semplice sottolinearne la differenza con chi si circonda di escort e veline.
Certo, alle parole cariche di passione ed euforia, bisogna adesso dare un seguito; e lo stesso Obama non ignora l’enormità delle sfide sul percorso della prosecuzione del cambiamento politico. Ma le virtuose intenzioni programmatiche ed il peculiare approccio antropologico all’attività politica costituiscono un’ottima base di partenza. E da questo punto di vista, nonostante i difetti, le ombre e i lati oscuri, gli Stati Uniti hanno ancora molto da insegnarci.
Stefano Fiamingo