CATANIA – Nel nuovo cartellone dello Stabile etneo – intitolato dal direttore Giuseppe Dipasquale “L’arte della commedia” in dialettica correlazione al tempo della crisi – non poteva mancare un classico del teatro comico siciliano. La scelta è caduta su un testo di culto: “Il paraninfo” di Luigi Capuana, pietra miliare della drammaturgia in vernacolo.
L’appuntamento è al Teatro Musco dall’11 gennaio al 10 febbraio. La produzione dello Stabile riprende e rinnova quella realizzata nel febbraio 2003 puntando sulla qualità di allestitori e interpreti. Regia e adattamento sono di Francesco Randazzo, che posticipa l’azione dalla Sicilia postunitaria a quella dell’ultimo dopoguerra. Dora Argento firma scene e costumi, Silvana Lo Giudice i movimenti coreografici, Nino Lombardo le musiche, Franco Buzzanca le luci.
Nel ruolo del titolo un beniamino del pubblico come Angelo Tosto, qui affiancato da un folto cast che annovera Vitalba Andrea, Alessandra Barbagallo, Filippo Brazzaventre, Cosimo Coltraro, Egle Doria, Camillo Mascolino, Margherita Mignemi, Rosario Minardi, Sergio Seminara, Olivia Spigarelli, Riccardo Maria Tarci, Aldo Toscano, Luana Toscano. Al pianoforte lo stesso Nino Lombardo.
Situazioni esilaranti innervano un capolavoro ricco di risvolti umani e sociali, com’era nelle corde del grande scrittore verista, nativo di Mineo. In un’epoca in cui il matrimonio combinato era assai diffuso, l’autore rivendica la priorità del sentimento. Convinto altresì dell’importanza del teatro dialettale, redige il copione in siciliano ricavandolo da una sua novella in lingua. Non a caso la pièce si colloca agli albori di quel “secolo breve” che tanto fecondo si sarebbe rivelato per la narrativa e la drammaturgia isolane. “Dodici aprile 1915. Questa data non si cancellerà mai dalla mia mente, dovessi campare mille anni!”. Angelo Musco ricorda così nell’autobiografia la prima rappresentazione milanese, che lo avrebbe consacrato come il più grande comico dei suoi giorni.
Capuana tratteggia da par suo uno spaccato di fine ‘800, per raccontare la vicenda di un ex maresciallo della Guardia di Finanza, il cui scopo nella vita è portare al fidanzamento giovani e meno giovani, borghesi e campagnole di buona famiglia. Per Don Pasquale Minnedda fare sposare il prossimo è una “missione”, ma gli procura più guai che gratitudine, visto che le sue coppie improbabili si sciolgono in men che non si dica. Parlantina da avvocato mancato, Pasquale è appunto un paraninfo, ovvero un combinatore di matrimoni per professione, quale ormai non si trova più neppure nei piccoli paesi della provincia. Ma il fascino del testo resta inalterato.
Osserva il regista Francesco Randazzo: “Questa mia versione scenica ritorna al Teatro Musco, in tempi di crisi, quale piccolo antidoto che, attraverso la comicità, auspica quel senso di positivo umore collettivo che lo spettacolo suggerisce. In un contesto di libertà creativa, anarchica e popolare, come i teatranti che mi hanno preceduto, ho esaltato il guizzo e lo spirito frizzante, in modo fruibile e divertente per il pubblico attuale, composto da generazioni differenti: le più vecchie amano riconoscersi in ciò che vedono, le più giovani sorprendersi e scoprire ciò che sta prima di loro, con ritmi e codici propri. Quindi modernizzare, rivitalizzare, rendere riconoscibile un genere ed allo stesso tempo dargli un respiro più vicino a noi. Da qui lo spostamento temporale dell’azione, che ho collocato in un immaginifico secondo dopoguerra, momento di rinascita, apertura ad influssi culturali ed artistici, entusiasmi e novità”.
La scommessa è fare convivere tradizione e innovazione. “Partendo dal copione originario – prosegue Randazzo – ho ripreso alcuni giochi attoriali ancora vivi, scartandone molti. Ed ho chiesto agli attori di reinventarli insieme, tradurre con codici e ritmi diversi le ricchezze della tradizione. Un passaggio verso il genere di commedia in senso più largo, nutrita di commedia dell’arte ma anche di cinema muto, commedia e comicità surreale d’oltreoceano e nostrane; ma soprattutto di musica e di canzoni, genere che quell’epoca rinnovava attraverso guizzi musicali, dal jazz alle frizzanti canzonette della radio e della rivista.Ne risulta una comicità di situazioni più leggera, ironica fino al surreale, in cui Don Pasquale è il sognante animatore, ostinato e ingenuo, di un villaggio popolato di gente allegra e scombinata. Perché ciò che conta, il motore della pur esile vicenda, è l’ottimismo, la volontà di affrontare il mondo e le sue difficoltà, reali o inventate. Così tutti, teatranti e pubblico, abbiamo la fugace possibilità di seppellire la tristezza con una risata. Che non risolve, ma ricarica i nostri spiriti stanchi in questi tempi duri”.