La procreazione assistita e la diagnosi preimpianto potrebbero diventare presto una realtà per le coppie italiane affette o portatrici sane di malattie geneticamente trasmissibili.
La Corte europea dei diritti umani ha infatti respinto il ricorso con il quale l’Italia aveva chiesto il riesame della sentenza che, il 28 agosto scorso, aveva bocciato la legge 40 sulla procreazione assistita.
I giudici hanno evidenziato “l’incoerenza del sistema legislativo italiano”, dovuta al fatto che, se da un lato la legge 40 vieta l’impianto dei soli embrioni non affetti dalla malattia dei genitori, dall’altro invece, con la legge sull’interruzione di gravidanza, autorizza i genitori ad abortire quanto un feto è affetto dalla stessa patologia.
Il caso ad aver aperto la strada per la fecondazione assistita anche per coppie fertili in Italia, ma con malattie genetiche, è quello di Rosetta Costa e Walter Pavan che avevano presentato ricorso nell’ottobre 2010, i quanto nel 2006, in seguito alla nascita del loro primo figlio affetto da fibrosi cistica, avevano scoperto di essere entrambi portatori sani della malattia. La coppia aveva il 25% di probabilità che i figli nascessero affetti da fibrosi cistica e il 50% che ne fossero portatori sani. E così i due hanno deciso di ricorrere alla procreazione assistita e alla diagnosi preimpianto all’estero.
I giudici della corte di Strasburgo, nella sentenza del 28 agosto, hanno inoltre sottolineato di non essere convinti dagli argomenti che giustificano il divieto da parte del governo italiano a ricorrere alla diagnosi preimpianto per i coniugi Costa-Pavan.
Il governo infatti sostiene che il divieto deriva dalla necessità di tutelare la salute del bambino e della donna nonchè la libertà di coscienza delle professioni mediche, ma anche per evitare il rischio di derive eugenetiche.
L’Italia, attualmente è uno dei pochissimi paesi, insieme all’Austria e alla Svizzera, a vietare ancora la diagnosi preimpianto per prevenire la trasmissione di malattie genetiche.