La paura ha molti sinonimi nel cinema italiano. Alcuni di questi hanno fatto grande la storia del genere (Mario Bava, Ruggero Deodato, Antonio Margheriti) ispirando a loro volta il lavoro di artisti fondamentali nel panorama fantastico internazionale (come Tim Burton). Ce n’è uno però che identifica senza riserve il cinema horror e thriller nostrano. E’ il “sinonimo” per eccellenza della paura tricolore e la sua fama brilla della stessa luce gelida del metallo che gli dà il cognome: Argento. Dario all’anagrafe. Un seminario sul cinema del terrore non poteva che scegliere una partecipazione speciale come la sua per consacrare la due giorni di lavori che vedrà coinvolti i ragazzi del Centro Studi Laboratorio d’Arte di Catania nelle giornate del 29 e 30 Marzo. Un workshop per tecnici, appassionati e (chissà?) futuri operatori del settore cinematografico, tutti uniti in questa occasione (dopo gli incontri eccellenti con Giancarlo Gianni e Enzo G. Castellari) da un unico comune denominatore: la paura. Questa la “materia prima“ che ha reso grande il cinema di Dario Argento nei periodi più sperimentali della nostra cinematografia (gli anni ’70 e in parte gli anni ’80) e che il Maestro, nonostante l’ultimo decennio sia stato anche quello produttivamente più difficile (in Italia non si è semplicemente allentata ma è letteralmente “sparita” la tradizione del cinema di genere), ha cercato di portare avanti muovendosi tra Vecchio e Nuovo continente, correndo rischi sulla propria pelle e col proprio nome (perché i recenti La terza madre, Giallo e Dracula 3D gli hanno procurato più detrattori che allori, nonostante l’impegno e la passione profusi fossero rimasti quelli di sempre). Lui di tutto ciò non sembra tuttavia darsi troppo pensiero durante la conferenza stampa di presentazione del laboratorio. Rilassato come sempre, ironico e gentilissimo, Dario Argento offre responsi di poche parole ai giornalisti (anche a quelle domande di cui in effetti conosciamo già la risposta) ma sempre innegabilmente eloquenti. Qualcuno lo stuzzica sulla questione Catania: perché non venire qui a girare uno dei suoi film? E in effetti la domanda è di quelle che tutti vorremmo fargli. Perché il grande Dario non potrebbe oggi farsi ammaliare dal fascino dei paesaggi etnei o dalle barocche e teatrali architetture catanesi, proprio come in passato aveva fatto con la città (Torino) che ha incorniciato egregiamente i suoi gialli più famosi (Profondo Rosso in primis)? Catania come immensa e ancora inesplorata scenografia naturale, magari ritratta sotto la stessa luce innaturale e spiritata che avvolgeva capolavori come “Suspiria” o “Inferno”, non potrebbe davvero costituire una nuova linfa "ambientale" per l’ispirazione del Maestro? Lui fa educatamente spallucce, dichiarando (giustamente) che dovrebbe prima visitare questi luoghi per potersene fare un'idea “cinematografica”. Chissà allora che lo spunto non glielo possa offrire proprio la collaborazione intrapresa con Alfredo Lo Piero e il suo Mistero di Puteaux (progetto che indaga sulla morte misteriosa del nostro Vincenzo Bellini). Noi ce lo auguriamo vivamente. Non a caso qui da Vois arriva per Dario un regalo tutto speciale: una vignetta che lo ritrae con la mano guantata del killer da un lato e le dita nodose di una delle sue Mater dall’altro. Il Liotru è (metaforicamente) già nelle sue grinfie. Speriamo voglia agguantarlo davvero.
Testo e disegno di Andrea Lupo