Non ha ancora ricevuto uno scranno sul quale sedere accanto ad altre nobili arti come la musica, il cinema e la letteratura. Magari perché ingloba disinvoltamente tutte queste o magari- ipotesi più probabile- perché ancora sconta sulla sua pelle quel pregiudizio culturale che lo relega a “passatempo infantile o adolescenziale”. Forse un giorno la società dovrà arrendersi all’evidenza che il “fumetto” è, a tutti gli effetti, una delle più ferventi e fondamentali manifestazioni culturali e sociali dell’ultimo secolo. Del resto basterebbe gettare uno sguardo sul pubblico che ha invaso (si parla di 61.000 presenze complessive) i locali de “Le Ciminiere” per la quinta edizione di “Etna Comics” per rendersene conto. Non soltanto ragazzini, young adult e genitori al seguito dei bimbi, ma anche adulti allegramente (e psicologicamente) coinvolti da un simile carnevale multicromatico e pop che tocca, inevitabilmente, le radici di ognuno. Abbiamo detto “pop” perché l’aggettivo “popular” da quest’anno è entrato ufficialmente nella stessa intestazione dell’evento, rendendo ancora più trasversale l’oggetto celebrato e ampliando i confini della sua utenza.
L’hashtag backtothefantasy sigla ulteriormente una simile manifestazione di intenti chiamando in causa fumetto, immaginazione e “Ritorno al futuro”, cult generazionale citato nel poster dell’evento e scheggia fondamentale della cultura “popular” degli ultimi trent’anni. Per chi scrive proprio la mostra di memorabilia dedicata alla geniale trilogia di Robert Zemeckis rappresenta un po’ la chiave di accesso a questa quinta e ancor più sontuosa edizione: ci sono lo skate di Marty McFly, foto (quella di famiglia, ricordate?), fumetti e giornali anni ’50, il mitico almanacco del capitolo 2 (con tanto di busta metallizzata!) e perfino il famigerato “flusso canalizzatore”. Un aggeggio che, se di salti temporali autentici non ne consentirà, qualche tuffo al cuore a molti “nerd” lo garantisce di sicuro. Proprio come i giocattoli dei Super Robots (Jeeg, Mazinga &Co.); tutti li ammiriamo sotto vetro, ma gli over 40 giurano di averci giocato da piccoli (senza troppo badare, ahimè, al fatto che sarebbero divenuti più in là futuri gioielli vintage).
Emoziona come la prima volta rivedere la Lady Oscar dell’infanzia impressa sulle tavole originali del manga accompagnate, per l’occasione, dall’autrice Ryoko Ikeda, anche protagonista di un entusiasmante concerto di chiusura. Per la prima eroina transgender della storia del cartone animato, quella che riuscì a turbare ugualmente i sogni di ragazzini e ragazzine, è sempre infatuazione senza tempo. Zigzagare poi fra le tavole di Guido Crepax e quelle di Diabolik fa sussultare anche i settantenni di oggi, già folgorati- all’epoca della loro adolescenza- dal fascino di Valentina e dal ritmo delle avventure firmate dalle sorelle Giussani. Fuori dalle aree dedicate alle mostre ci sono “altrimondi” (scritto proprio così) a catturare l’attenzione delle folle in entrata. La novità dell’anno è la suggestiva Umbrella Italian Division nata da una costola di “Resident Evil” che prevede esposizione con tanto di laboratorio, scienziato e perfino zombie in silicone, mentre l’area dedicata a “Star Wars” (le famose “501 Legion” e la “Rebel Legion”), per quanto must fin dalle prime edizioni del festival, non smette mai di stupire con maschere, ricostruzioni di set e action figures in scala da togliere il fiato.
Menzione speciale per la divisione locale dei “Ghostbusters” con il logo deliziosamente rivisitato in chiave siciliana e simpatia da vendere (anzi no, quella è sempre gratis). E fra aree medievali, horror, japan e games c’è posto anche per una piccola oasi per bimbi, l’area Junior, ottima anche per ricalibrare i sensi adulti “sconvolti” da cotanta abbondanza. L’omaggio ad un’icona della cultura cinematografica anni ’80, l’ospite d’onore Rutger Hauer (qui l’omaggio a lui consegnato da Vois), riallaccia le fila con quella dimensione pop che abbraccia trasversalmente tre generazioni di spettatori. E se rivedere un capolavoro come “Blade Runner” o gioielli assoluti come “The Hitcher” o “Ladyhawke” su schermo non vi sembra abbastanza vuol dire solo che dentro non vi batte un cuore (o che avete ucciso il vostro “nerd” interiore).
Pane per tutti i denti insomma ma, sopra ogni cosa, comics e oggetti per ogni generazione. Orde di acquirenti (perché sempre di una impegnativa e costosa fiera si tratta), comics-addicted e avventori imbarazzati da tanta offerta e da quegli stand in cui l’esperienza della cultura popular (cinema, fumetto, serial tv) si replica e si amplifica, concretandosi in ogni sorta di gadget derivativo che diventa già oggetto del desiderio, dall’action figure millimetricamente riprodotta alla t-shirt, dal ciondolo alla maschera. Tutti comprano e si compra di tutto. Perfino i cosplayer (per gli inesperti si tratta di coloro che indossano i costumi dei loro eroi su carta o schermo) girano fra i piani con buste colme di peluche e spade, oggetti bramati e acquistati nell’attesa di sfilare sul palco dove consacreranno i loro beniamini con una breve performance “live”. E alla base di tutto, in quel piano terra da cui ogni cosa origina, c’è ovviamente il fumetto. Sogni di carta e china, nuvole che viaggiano fuori dai confini della pagina e pagine, a miliardi, pronte a rinnovare eternamente la promessa di un sogno o magari solo a prolungarlo un altro po’. Stand ricchi di autori coi loro splendidi bozzetti improvvisati o le tavole da autografare e, ovviamente, le scuole. C’è la scuola del fumetto del capoluogo naturalmente, ma c’è anche, non dimentichiamolo, il primo laboratorio di fumetto etneo guidato da un catanese (Angelo Pavone con la sua factory di professionisti ingiustamente poco noti).
A crederci nei primi anni ’90, quando Etna Comics sarebbe parso follia o, quantomeno, “qualcosa che nessun umano avrebbe mai potuto immaginare”, c’era semplicemente un artigiano fumettista e imprenditore di se stesso. Un laboratorio attivissimo il suo, nato da una fondazione che reca il nome di un giovane fumettista catanese (Marco Montalbano) scomparso prematuramente. Una matita tristemente spezzata la sua dalla quale però sono nati significativamente i sogni di tanti altri. I fumetti ci insegnano anche questo. Guai a chi non li chiamasse “vita”…
Andrea Lupo