In rete la clip in cui interpreta “Un’emozione da poco” di Anna Oxa, fra elettrici lampi rosso-blu, mascara intorno agli occhi e quei capelli lunghi e impomatati, ha già totalizzato oltre 452.000 visualizzazioni. I commenti sotto il video poi parlano chiaro: “Lo Zingaro è uno Joker elevato alla decima potenza”, “Un vilain che canta Oxa e Bertè nei film Marvel se lo sognano” e così via. Seguono lodi sperticate rivolte all indirizzo dell’ interprete in questione, un attore che molti, nei commenti, ammettono candidamente di non aver mai conosciuto fino all’uscita di “Lo chiamavano Jeeg Robot”. L’entusiasmo del pubblico più giovane intorno al bravissimo Luca Marinelli è esploso grazie all’ instant-cult di stagione firmato Gabriele Mainetti, dove l’attore presta corpo, movenze e lucidissima, quanto ironica, follia a una nemesi supereroistica più unica che rara nel cinema italiano. Lo Zingaro, dopotutto, è davvero l’incarnazione crudele, istrionica e vagamente metrosexual di un perfetto anti-eroe, quello che, come dicono giustamente nei commenti su YouTube, negli ipertrofici (e un po’ accademici) prodotti Marvel potrebbero solo sognarsi.
A connotarlo magnificamente con la potenza di quello sguardo incavato, ci ha pensato Luca Marinelli, talento italiano purosangue che ha soltanto iniziato a lasciare il segno nella nostra cinematografia, oltre che volto già fra i più carismatici e rappresentativi dello star system nazionale. Dieci anni di fluidissima carriera quelli al suo attivo, fra una lieve gavetta televisiva, tanto ottimo teatro (anche col maestro Carlo Cecchi) e soprattutto un cinema ottimamente selezionato (prima di Mainetti ci sono stati Saverio Costanzo, Paolo Virzì e l’ultimo Claudio Caligari). Il suo è uno di quei volti che non lasciano scampo, neppure quando appaiono soltanto per pochi folgoranti frames; indimenticabile ne “La grande bellezza” dove interpretava un ricco disadattato che appariva nudo come un Cristo davanti alle telecamere pronunciando il suo “Mamma, quando ti vedo arrossisco!” poco prima di togliersi la vita. E se pensate che quello sguardo possa prestarsi solo al dramma (come per il suo ruolo d’esordio, il problematico Mattia de “La solitudine dei numeri primi” o il transessuale de “L’ultimo terrestre”), allora non lo avete visto sensibile e gentile nella commedia “Tutti i santi giorni” di Paolo Virzì. Ne sconosciamo colpevolmente le interpretazioni rese in altri film “minori” come il visivamente pregevole “Nina” di Elisa Fuksas (film, a quanto si evince dal trailer, dal notevole gusto formale) o l’opera prima, ben accolta dalla critica, “Il mondo fino in fondo”di Alessandro Lunardelli. Tutti titoli appartenenti a quella triste categoria di prodotti italiani poco promozionati presso il grande pubblico, vittime cinematografiche predestinate di un malcostume distributivo ormai costante in ogni stagione.
Ci consoliamo quindi con le sue due opere più recenti ed emblematiche, il già noto “Lo chiamavano Jeeg Robot” e il duro, lacerante testamento di Claudio Caligari “Non essere cattivo”. Quest’ultimo in particolare è il film che più avrebbe meritato in termini di riscontro presso il grande pubblico e non soltanto, s’intende, per la bellissima prestazione del suo cast (a far da spalla al bravissimo Marinelli c’è un altrettanto splendido Alessandro Borghi, esploso già in “Suburra”). Opera terza e ultima -dopo “Amore tossico” e “L’odore della notte”- di un regista sempre confinato ai margini del sistema, “Non essere cattivo” è un canto triste e secco sui miserabili di borgata di metà anni ’90 (ma potrebbero essere anche dei giorni nostri), quei pericolosi derelitti dai quali non ti aspetti nulla perché incastrati già nel proprio nulla privato di orizzonti. Una pagina di cinema (e di poesia) autentico, che si dispiega tra la sovra-eccitazione degli esterni drogati e delinquenziali e l’intimismo di interni umili e dolorosi, dove malattia e perdita prendono corpo e non fanno sconti (e fanno male veramente). Marinelli è l’anima divisa in due di questo significativo film-testamento di un regista poco celebrato. Il suo personaggio però non è l’equivalente verista dello Zingaro di “Jeeg Robot”, quanto una sorta di suo positivo lurido, tossico e disperato. E se quelle occhiaie e il viso scarno rimandano lampi dell’istrionismo già sfoggiato nel film di Mainetti, la disperazione al fondo di quello sguardo non appartiene affatto a un vilain esagerato e divertente, ma unicamente a quel Cesare, delinquente di Ostia che osserva gli aerei in decollo e sogna una speranza affidata al cielo, personaggio che prenderemmo a pugni anche noi nel film, ma al quale, alla fine, potremmo solo dolorosamente volere bene.
Il brevissimo incontro con Luca Marinelli durante i Nastri d’Argento 2016, occasione durante la quale ho avuto modo di rendere omaggio al suo talento con un disegno, conferma quelle doti di attore, e di uomo, già viste su schermo. Lontano dal glamour e dalle passerelle festivaliere, Marinelli manifesta la stessa educata e delicata introversione dei personaggi da lui interpretati. Ed è una conferma che fa piacere ricevere. Più vicino alla purezza e all’autenticità di un Cesare quindi che all’istrionismo urlato (e cantato) de lo Zingaro. Gentile e, soprattutto, visibilmente sorpreso da questa mia spontanea -e credo inaspettata- attestazione di stima, ricambiata prontamente con un bellissimo complimento al mio disegno (“Cos’è questa meraviglia?”) . In quest’ultimo infatti lo ritraevo, sguardo cupo e un po’ tormentato, proprio come in “Non essere cattivo”, film della svolta almeno quanto “Jeeg Robot”. Il caso ha voluto poi che quel giorno lui indossasse il medesimo cappello del film (cosa che mi fa notare prima di farsi uno scatto). Forse è il destino, o magari solo quei piccoli cortocircuiti fra arte e finzione. Di sicuro è il cinema e soprattutto la vita. Un momento che da lassù spero anche che il compianto Claudio si sia potuto godere. Grazie ancora grande Luca. Tu non sarai mai veramente cattivo…
Testo e disegno di Andrea Lupo